

Danilo: “I piani sono stati finalizzati solo in agosto, dopo che ho menzionato a KTM che un giorno avrei voluto correre alla Dakar. Era qualcosa che ho sempre sognato di fare, ma francamente non avrei mai potuto immaginare di prenderne parte così rapidamente. Dando uno sguardo al passato, credo che la tempistica non poteva essere migliore."
"Mi ero stancato della pressione costante a cui si è sottoposti in MotoGP. Non avevo più la sensazione di divertirmi con le moto, e credevo di poter riottenerla alla Dakar. Ma naturalmente, sapevo che sarebbe stato un problema con così poco tempo tra la fine della stagione della MotoGP e l’inizio del Dakar Rally”.


“Devo ringraziare mio padre per quello. Lavorava nel paddock dei Gran Premi come autista di camion per il Team Pileri, quello con cui Loris Capirossi gareggiava. Portava sempre a casa videocassette VHS quando tornava dai weekend di gara. Oggigiorno i genitori danno ai loro figli un cellulare, io invece avevo un videoregistratore per guardare quelle videocassette! Quando ho raggiunto i 4 anni ho capito come funzionava il videoregistratore e guardavo un sacco di Gran Premi. A volte c’erano degli spezzoni della Dakar, che hanno stuzzicato il mio interesse. Più avanti mio padre è andato a lavorare con la KTM, quando hanno iniziato a correre nel campionato mondiale."
"Quello di KTM era già un grosso nome nel motocross, e naturalmente anche nel Dakar Rally. È stato in quel periodo che ho trovato un nuovo eroe: dopo Loris Capirossi, ho iniziato ad ammirare Fabrizio Meoni. Ho ancora un suo poster sul muro a casa. Era un pilota di livello nel Dakar Rally, è riuscito addirittura a vincerlo, due volte! Mio padre lo conosceva abbastanza bene e sono andati assieme a fare fuoristrada alcune volte. Sebbene io lo abbia incontrato una volta, purtroppo non ho mai avuto la possibilità di uscire in moto con lui. Avevo solo dodici anni a quel tempo e non avevo ancora la mia patente, quindi sono rimasto nel motocross”.


“Era molto difficile per me giudicare quanto sarebbe stato difficile il Rally Dakar. Avevo sentito dei racconti, certo, ma quei racconti non narrano nemmeno la metà della storia. Dopo averla vissuta sulla mia pelle, ora so quanto sia veramente estenuante. In tutta onestà, non me l’aspettavo così estrema. Fare tre o quattro giorni di guida in fuoristrada va bene, ma due settimane piene… è assolutamente massacrante."
"Rispetto al Dakar Rally, una gara di MotoGP è più come uno sprint. In termini di risultati, non sapevo nemmeno cosa aspettarmi. Voglio dire, avevo solo gareggiato in un’evento rally prima della Dakar. Così mi sono messo a tavolino con il team per cercare di trovare un obiettivo ragionevole per la gara, Abbiamo deciso che saremmo stati perfettamente felici di terminare nei primi trenta della classifica. Non avrei mai immaginato di arrivare nella topten, figuriamoci di vincere una tappa!”
"Non avrei mai immaginato di arrivare nella topten, figuriamoci di vincere una tappa!”
“Al secondo giorno, quando sono arrivato al 13esimo posto, sapevo che era perché un sacco di piloti importanti avevano fatto un grosso errore di navigazione, qualcosa come otto di loro. Quindi, ero ben consapevole che sarebbe stato difficile entrare regolarmente nella topten, perché in circostanze normali, sarei finito anche dietro a quei ragazzi. E poi, il giorno seguente la mia KTM si è fermata con un problema elettrico. Sembrava come se avessi perso qualsiasi possibilità che avevo di ottenere un risultato importante, è stata una delusione incredibile. Quello è cambiato totalmente quando ho sentito che stavo fino ad allora lottando per il podio. Ha aumentato la mia fiducia in me stesso e non di poco."
“Nelle prime tappe, avevo già notato che potevo eccellere su certi terreni, come per esempio i piani veloci e rocciosi. In quella situazione si guida quasi costantemente in quarta, quinta e sesta. La tappa di quel giorno era cosi, ed infine sono arrivato terzo, partendo da circa il ventesimo posto, sorpassando tanti piloti. Quasi pareva una gara di MotoGP. A causa della velocità elevata di questa tappa del rally, abbiamo effettuato il primo rifornimento relativamente presto. Uno dei commissari è venuto da me. “Numero 1”, mi ha detto. E io, “No, no: il mio numero di gara è il 90”. Ma voleva dirmi che ero in prima posizione, e non potevo crederci! Non fino a quando alla fine mi ha mostrato la classifica. È un peccato che abbia ricevuto una penalizzazione di tempo alla fine, ma per me è stato davvero bello essere in grado di correre davanti in quel modo”.


“Esattamente, pazzesco! Nel mio primo anno di partecipazione alla Dakar, con quasi nessuna esperienza reale di rally, senza alcuna preparazione seria, e sono riuscito a ottenere una vittoria di tappa."
"Molti piloti partecipano al Dakar Rally per anni e non vincono mai nemmeno una tappa. Cosa è successo dopo, era incredibile. Chiunque voleva parlarmi dopo la vittoria, ero proprio al centro dell’attenzione. Era così bello sentire così tanta energia positiva”.


“Ci sono andato veramente vicino. E tutto è cominciato quando ho rotto la mia caviglia, anche se tanto per cominciare non avevo comunque molto tempo per prepararmi. Con venti giorni alla partenza, potevo appena caricarla col mio peso, figuriamoci guidare una moto. Volevo provare a vedere come la caviglia avrebbe retto nella prova preliminare, poco prima dell’inizio effettivo della Dakar. Dovevo starci attento, ma sapevo allora che l’infortunio non mi avrebbe tenuto in disparte per il rally. Alcuni minuti più tardi, tutto cambiava totalmente."
"Quando sono tornato al nostro camion, il team mi ha detto che ero positivo al coronavirus. Non potevo crederci. Ma sapevo anche che dovevo mantenere la calma, non era certo una partita finita subito. Sono tornato al bivacco il più velocemente possibile per farmi un altro test. Poi, mi sono dovuto isolare e naturalmente è stato quando ho iniziato a pensare. Sembrava davvero un incubo, ma per fortuna ho ricevuto la buona notizia abbastanza presto”.


“È vero, la velocità non era un problema. Anche altri piloti mi hanno detto di aver notato la mia velocità; il mio equilibrio in sella e i miei riflessi veloci sono anche stati utili. Quelle sono capacità e qualità che ho sviluppato in MotoGP”.


“Non c’è alcun dubbio, sicuramente la navigazione. Mi ricordo quando siamo andati ad allenarci nel deserto a Dubai. Questa era la prima volta che utilizzavo il roadbook ed è stato un totale disastro. Mi sono perso, il sole ha cominciato a calare e ho scoperto che mancavano ancora 100 chilometri a Dubai. Mi veniva da piangere. È stato allora che ho capito che stavo chiaramente facendo qualcosa di sbagliato, ma ho avuto la fortuna di avere compagni di squadra incredibilmente utili."
"Sam Sunderland e Toby Price hanno risposto a tutte le mie domande, e naturalmente, avevo molte domande per loro. Mi hanno aiutato a capirne qualcosa di tutto il discorso sulla navigazione. Quindi, alla fine, ho compreso cosa ci vuole per navigare nel Dakar Rally, ma c’è ovviamente così tanto da imparare in quest’area”.
“La Dakar è un mondo totalmente differente. Non si può proprio comparare l’atmosfera del bivacco con il paddock dei GP. Amo veramente il paddock della MotoGP, ma nel Dakar Rally c’è un tale senso di comunanza fortissimo. È come se si sta vivendo tutti assieme la stessa avventura. Creare la propria gara è anch’essa un’altra enorme differenza. È così difficile giudicare. Nella MotoGP non stai sempre correndo al 100%, ma alla Dakar questo non è proprio possibile."
"Non solo perché sei sulla moto per giorni e giorni, ma anche a causa del pericolo costante. Fare una caduta a solo 20 km/h qui può già avere enormi conseguenze. Non c’è proprio alcun margine di errore, qui. Ma poi non c’è una giornata perfetta nemmeno alla Dakar. Quando stai guidando per svariate centinaia di chilometri, sei destinato a fare un errore da qualche parte. Con questo a mente, è piuttosto duro sopprimere la sensazione di paura. Tanto che non sono ancora sicuro di passare a tempo pieno ai rally raid."
"Quindi, alla fine, ho compreso cosa ci vuole per navigare nel Dakar Rally, ma c’è ovviamente così tanto da imparare in quest’area”.


“Ho trascorso una lunga e bella carriera in MotoGP, ma ultimamente non mi divertivo più come prima. La MotoGP è veramente divertimento quando si può combattere per il podio. Questa nuova mossa è arrivata proprio al momento giusto. Avevo bisogno di qualcosa di totalmente differente per provare a trovare un bell’equilibrio tra prestazioni e piacere."
“Con il Dakar Rally mi sono sentito come se avessi fatto la decisione giusta, e si spera che sarà lo stesso con il Campionato MotoAmerica. È difficile dirlo ora, ma mi sento contento di affrontare questa sfida. Volevo veramente scoprire com’è l’America, ho sempre avuto un debole per quel paese”.
“Onestamente, non lo so. C’è il problema di lavorare con due differenti produttori, KTM e Ducati. È stata una delle decisioni più dure che abbia mai dovuto prendere, perché naturalmente, KTM non era contenta che corressi in America con la Ducati. Quando ho iniziato a lavorare con KTM ho detto loro che non avrei mai avuto intenzione di lasciare il marchio. Ma poi non ci siamo incontrati e la comunicazione non è andata come avrei voluto."
"Non volevo finire senza una moto, quindi alla fine ho scelto ciò che era meglio per me. È stata per lo più solo una mancanza di comunicazione, siamo ancora molto in buoni rapporti. Per ora, si tratta solo di scoprire dove andare partendo da questo punto. Sto facendo un passo alla volta, ma non faccio mistero di voler correre di nuovo alla Dakar. Preferibilmente con una migliore preparazione questa volta, come per esempio partecipando prima al Rallye du Maroc”.


“Ahahah, ho a dire il vero già chiesto al mio nuovo team se posso partecipare qualche volta a un evento fuoristrada in America. Il crosscountry è molto popolare là, chi lo sa? Mi piacerebbe provare, ma naturalmente, tutto dipende nel mio programma agonistico."
"E ho a casa una moto da flat track, ma non la tocco da un bel po’. Detto questo, vorrei provarlo in America. Ci sono così tante cose che voglio fare e non vedo l’ora di praticare tutti i tipi di discipline!”


Dopo anni in cui ha riposto la sua fiducia in REV’IT! per proteggersi, Danilo Petrucci (31 anni) ha formato un forte legame con il marchio. Ora ci stiamo dirigendo verso un’altra stagione insieme, iniziando già con successo, con il suo incredibile debutto nel Rally Dakar. “REV’IT! è stato il primo marchio a credere veramente in me quando ho fatto la mossa di passare alla Ducati nel 2015. Sin da allora il nostro legame si è solo solidificato, ma ci sono due cose che risaltano nella nostra relazione. Primo, un pilota ha bisogno di sentirsi sicuro, ed è esattamente come mi sento con REV’IT!."
"Ma per me, il lato umano delle cose è anche una parte incredibilmente importante. È qualcosa in cui REV’IT! eccelle. Il cliente generico solo riesce a vedere e toccare la qualità dei loro prodotti, ma io lavoro anche con le persone che formano REV’IT! e vivo di prima mano quanta passione va nel loro lavoro. C’è un forte senso di rispetto reciproco, lo si sente per davvero. Questo, per me, fa tutta la differenza del mondo. È stato lo stesso quando mi sono iscritto al Dakar Rally, si sono messi subito al lavoro perché ce la facessi. Sono molto contento e sono veramente fiero di essere stato il primo pilota REV’IT! a prendere parte al Dakar Rally”.
Vedremo Danilo ancora una volta in una tuta da gara REV’IT! color rosso acceso quando si dirigerà verso la sua avventura americana nel Campionato MotoAmerica con la Ducati. Scopri di più su Danilo e sui suoi giorni di gara con la famosa marca italiana che gli ha portato i suoi più grandi successi nelle corse.